In tempo di segregazione razziale anche le star musicali non avevano libero accesso ai servizi riservati alla popolazione bianca. Così quando artisti del calibro di Otis Redding, Rey Charles, Lionel Hampton o Aretha Franklin venivano a Memphis per registrare i loro brani dovevano recarsi in una struttura di livello non eccelso, il Lorraine Motel. Quel maledetto 4 aprile 1968 vi arrivò anche Martin Luther King, impegnato a organizzare una nuova marcia nel contesto del grande movimento di protesta per i diritti civili. Le cronache raccontano che nell'attesa di ricevere la camera, la 202, e non la solita 306, cantò insieme a un suo amico musicista uno degli inni liturgici che più amava, "Take my hand, my precious Lord", intonata poi da Mahalia Jackson ai suoi funerali. Alle 18:01, affacciatosi al balcone della stanza, fu colpito alla testa da un colpo di fucile di precisione sparato da James Earl Ray. L'arredamento dell'ultima camera da letto di un martire dell'umanità non è mai cambiato da quel giorno, ed è visitabile all'interno del National Civil Rights Museum, un'esposizione interattiva che attraverso percorsi storici e ricostruzioni ambientali ti racconterà il cammino degli afroamericani verso l'uguaglianza e la libertà. Sotto la guida di un autentico pastore che ha insegnato, a tutta l'umanità, che si può, anzi si deve credere nei sogni.
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