"La vita è bella". Questa è l'osservazione che Leon Trotsky espresse nel suo testamento politico guardando fuori dalla finestra dell'abitazione del quartiere coloniale di Coyoacán, sobborgo di Città del Messico, dove viveva in esilio con la moglie Natascia. La luce azzurra dei tropici, l'erba verdeggiante del giardino. Aggiungeva l'invito, alle generazioni future, a preservare quel dono unico e a riscattarlo dalle ingiustizie che lo deturpano. Rimaneva ferma, a fronte delle calunnie del regime stalinista che di lì a pochi giorni lo avrebbe eliminato fisicamente, mentre lavorava alla scrivania, la sua professione di essere, fino alla morte, rivoluzionario, proletario, marxista, materialista dialettico, a dispetto della "russificazione" dell'Unione Sovietica. La Casa Museo Leon Trotsky, non distante dalla Casa Azul di Frida Khalo e Diego Rivera, che peraltro effigiò l'ex comandante dell'Armata Rossa, dove era stato ospitato appena giunto dall'Europa, ti farà rivivere le sue giornate di impegno, studio, lotta, in cui continuava a credere, nonostante le difficoltà del suo destino individuale, in nome del processo storico che avrebbe visto, prima o poi, il trionfo della giustizia. Gli ambienti interni sono rimasti intatti, ricchi di cimeli e memorabilia. Dalla finestra, la stessa del testamento, entra il brusio di Coyoacán, filtrato dal giardino nel quale è sita la tomba, con la falce e il martello, degna di un canto simile a quello che Pasolini levò sul sepolcro di Gramsci.
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