I fiumi del Nord sono a sé stanti. Trascinano il mistero di regioni remote, sconosciute, inospitali, di torbe e ghiacci eterni, il gelo di mari artici impraticabili. Diversi dai corsi d'acqua continentali, maestosi come sinfonie, che attraversano capitali, città, foreste tropicali, e da quelli torrentizi delle contrade mediterranee. I loro greti lisci sono venati di striature metalliche, di ruggine e oro. Così quando risalirai l'alveo del Copper River, in Alaska, sulla scorta dell'avventura di Erin McKittrick, 6400 km a piedi o in canotto alla ricerca della wilderness più incontaminata, comprenderai la ragione del titolo del suo libro, "La strada alla fine del mondo". Già sull'estuario rimarrai colpito da uno spettacolo desolato e silente, delimitato da un cordone di isolotti sabbiosi, grigi e neri, colonizzati da boschi di abeti rossi, che compaiono e scompaiono a seconda dei livelli della marea. Mano a mano che ti addentrerai seguendo il tragitto del Copper scoprirai una regione deserta di vita umana, primordiale. Osservando la corrente lenta ma energica, percorsa da miriadi di salmoni, avrai la stessa sensazione della giovane biologa autrice del libro, di assistere in presa diretta al processo di mutamento di un mondo che si forma, crolla, si sposta, si modella e plasma. Numerose sono le attività che avrai a disposizione per entrarvi in una simbiosi carica di pathos, dal kayak ai percorsi di hiking tra i boschi di taiga, verso i contrafforti dei Chugach. E l'ignoto.
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