Il viaggio può essere un'iniziazione, un rito di passaggio, l'accesso a una consapevolezza diversa, alla maturità. Così attraversando il Sud America il giovane Che Guevara non assiste solo al variare di climi, paesaggi, linguaggi, ma alla stratificazione di una civiltà che, in tutte le sue differenze, pare mandare un palpito comune, essere abitata da uno "spirito semindigeno". La conoscenza è anche dolore e questo costituisce un discrimine biografico, porta a fare delle scelte. Quelle che lo condurranno a divenire un rivoluzionario, dopo aver visto che la violenza e la sopraffazione sono alcuni dei vettori principali della storia. Ad esempio della conquista spagnola della civiltà Incas: senza nascondere la distruzione, in "Latinoamericana" si nota che il prodotto di tale cesura devastante, il meticciato, è la cifra culturale di un continente e l'unico possibile artefice del suo futuro. Per questo il libro si sofferma sulla Cattedrale di Cuzco, capitale degli Incas. Non solo per lo splendido impianto architettonico barocco che è valso alla chiesa, e al centro storico circostante, l'inserimento nei Patrimoni dell'Unesco. Sotto le fondamenta si trovano i resti del palazzo dell'imperatore Viracocha. Il Cristo Brunito, il magro "Signore dei Terremoti" che dal suo portale è condotto in processione durante la Settimana Santa e colpito dai "nucchu", i fiori andini che i queucha consacravano già al dio Kon. Estasiato dagli orpelli cupi e dalle tele, un ragazzo sta diventando il Che.
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