C'è un punto, in "Latinoamericana", il diario di viaggio del giovane Ernesto Che Guevara in Sud America, nel quale si avverte l'innalzarsi del registro, un vibrare nuovo della scrittura, un pathos lirico che si configura come partecipazione a un destino storico. Avviene a Cuzco, in lingua quechua l'ombelico, punto di congiunzione tra mondo infero, terrestre e celeste, capitale storica degli Inca da quando Mamma Ocllo lasciò cadere un chiodo dorato che indicò il sito del loro centro politico e sacrale. Dentro la polvere di ere e substrato che respira tra le sue strade, Che Guevara annusa tre Cuzco, tre storie, un unico destino, lo stesso del grande continente che attraversa in cerca di avventura. Infatti per il futuro rivoluzionario Cuzco è, fondamentalmente, "evocazione". La prima è l'ancestrale ombelico del mondo, e la sua imponente fortezza, Sacsayhuamán, costruita nel corso del 1400, una magnifica cittadella dalla complessa funzionale cultuale legata al dio solare Inti. Insieme al Che rimarrai assorto di fronte all'enigmatica armatura di enormi massi di porfido e ripercorrerai la sua appassionata ricostruzione che denota una sensibilità acuta verso lo sviluppo interno e le scansioni sociali delle civiltà. Nella pietra del Sole avvertirai anche tu il fremito delle Ande che, indignate dalla conquista spagnola, fecero crollare per tre volte la cupola della chiesa di Santo Domingo eretta sul primitivo tempio. E coglierai con lui la scaturigine del Sud America.
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