Si, ha ragione Piero Cacucci nelle pagine del suo "La polvere del Messico", un libro di viaggio che è narrazione di una catabasi culturale, simbiotica, nel magma ribollente di un popolo, nella sua estenuante passione di vivere: ciò che ti colpirà di più di Città del Messico è la sua "magnitud". Tutto, nel "Monstruo", è gigante, dalle chiese alla piazze, dalle vie urbane simili ad autostrade alla quantità giornaliera di rifiuti. Eppure, qui, ti basterà un vicolo per svoltare in una dimensione completamente diversa. Ad esempio a Coyoacán, il quartiere dove ogni cosa si è fermata, intorno alla piazzetta lastricata eletta da Hernan Cortés a propria residenza, a quel lontano XVI° secolo. Sarai circondato dalla pace di un villaggio di età coloniale incastonato nel ventre convulso di una delle principali megalopoli del pianeta. Non è un caso che a partire dalla fine dell'800 questa zona è stata la preferita da intellettuali ed artisti attivi nella vivace scena di Città del Messico che, con la sua atmosfera sfrenata e sensuale, fece innamorare personalità del calibro di Majakovskij, Breton, Artaud ed espresse avanguardie autoctone, come l'Estridentismo. Tutt'oggi tanti giovani bohémien passeggiano, sulle orme di Frida Kahlo di cui potrai visitare la Casa Azul, tra le viuzze squillanti di giallo e di rosso, l'ombra fresca del Jardín Hidalgo, le incantevoli chiese barocche, la tomba di Trotsky che qui fu assassinato, e poi si ritrovano al caffè letterario Parnaso. Fuori dal tempo.
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