Come recita un verso di un poema che Paulo Rigger, il giovane e cinico protagonista de "Il Paese del Carnevale", scrive a seguito della prima, intensa rivelazione che ha del suo paese d'origine a seguito del Carnevale di Rio, il Brasile è un lembo d'Africa trapiantato nel continente sudamericano. Ciò si evince dalla vitalità sensuale della sua gente mulatta, animata da un primitivismo istintuale, tribale, caldo. Anche la cucina reca la traccia storica dell'arrivo degli schiavi deportati dai Portoghesi per il lavoro nelle piantagioni. Ad esempio in una ricetta di Salvador de Bahia che Paulo, in una sera che conferisce al centro barocco l'aspetto cavo e scenografico di una civiltà morta, osserva su dei banchetti ambulanti da street food. Si tratta dell'acarajé, un cibo ancestrale, dal ricco significato cultuale e religioso. Infatti questa polpetta di fagioli e cipolla fritta nell'olio bollente di palma, chiamata in Africa "àkàrà", ovvero palla di fuoco, è la pietanza propiziatoria offerta agli Orixá, demoni tipici delle religioni animistiche giunte dal continente nero e testimoniate nella regione di Bahia dalla Candomblé creola. Disposte sul tabuleiro dalle "baiane", cuoche che hanno un fascino sacerdotale, stregonico, convinte del valore sacrale delle loro preparazioni gastronomiche, le acarajé vengono aperte e imbottite con gamberi, peperoncino, caruru, vale a dire un intingolo a base di gombo, insalata e altri ingredienti... dall'antico aroma africano.
Questo sito utilizza cookie di terze parti; se vuoi saperne di più o negare il consenso all’utilizzo dei cookie clicca qui.
Puoi anche consulate la Privacy Policy
Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina o cliccando qualunque suo elemento acconsenti all’uso dei cookie.
PROSEGUI