Era il 1370. La Thailandia settentrionale si presentava non molto diversa da quella che ti accoglierà oggi. Un giardino tiepido e lussureggiante di risaie frammiste a giungla folta. Un bonzo affidò a un elefante bianco il compito di trovare un luogo adatto ad ospitare una reliquia del Buddha. Il mastodontico animale giunse nella piana di Chiang Mai e si incamminò verso la cima del monte Doi Suthep, oltre 1600 metri d'altezza. Giunto alla sommità stramazzò sfinito, e morì. Il re Keuna vi fece costruire un tempio dorato che, da allora, è meta di pellegrinaggi dalla città posta nella piana che, in onore del sacrificio del pachiderma, si svolgono tradizionalmente a piedi. Corrado Ruggeri, nel suo "Farfalle sul Mekong", descrive l'avvincente scalata di circa 15 km che dalla cosiddetta "rosa del nord", attraverso vie che s’inoltrano tra canali ricolmi di fiori di loto, porta al Wat Phra, articolato intorno al cono della stupa centrale. Nella pagina sembra che ad ogni passo la fatica si stemperi in una superiore pace spirituale, rendendo il protagonista quasi dimentico della gravità del corpo. Fidati, sarà la sensazione che proverai anche tu, specie quando intuirai la fine del cammino, lontana 290 gradini bordati dal "naga", il serpentone che funge da corrimano. Giunto all'interno del tempio sentirai la felicità, di un tipo ben diverso da quella che di solito ci spacciano, spandersi nella tua anima come una marea, circondato da monaci e fedeli... in volo sull'Oriente magico.
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