La descrizione che ne dà Jack Kerouac in "On the Road" non può che suscitare in qualsiasi lettore una curiosità mista a venerazione. Non esita a definirlo un maestro, perché il suo diritto ad insegnare gli derivava dal fatto di aver passato tutta la vita a imparare, in una fame vorace, insaziabile, di esperienze. La stessa anima della Beat Generation, in fondo, imbevuta di un empirismo mistico, se è lecito usare un'espressione di questo tipo. William Burroughs, che ospitò la brigata malandata nel suo villino di legno di Algiers dove viveva con la moglie, lui omosessuale, e due figli, in un disordine ascetico e disperato, è stato uno dei massimi scrittori dell'era contemporanea, indagatore lucido, nel suo capolavoro "Pasto Nudo", del mondo mostruoso della droga, volto buio della società americana capitalistica. Il suo corpo magro, ieratico, ne aveva assunta di ogni tipo, e nonostante ciò sopravvisse per oltre ottant'anni. Kerouac ci racconta di un suo matrimonio in Jugoslavia, dell'attività di sicario a Chicago, dei viaggi a Parigi, Atene, Istanbul, delle sue massime da filosofo antico, della sua passione per Shakespeare, il "Bardo Immortale" e i Maya, del suo astruso accumulatore di particelle energetiche, della sua visione del mondo elettrica, fulminea, che esplodeva in lampi estatici. Di fronte al cartello che indica l'abitazione di Burroughs a New Orleans proverai a carpire qualche scena, discussione, eco, di quel soggiorno comune tra i protagonisti della Beat Generation.
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