Domani. Il futuro è l'unica dimensione temporale che il giovane Kerouac, durante il suo cammino "on the road" attraverso lo sconfinato continente americano, vi scopre nell'angolo più meridionale ed estremo, una distesa stanca, prostrata, di campi di cotone e vigne, dove la sera scende col colore della vinaccia e dentro a bar improvvisati in baracche di legno magri e baffuti avventori bevono la cerveza. A Sabinal, un villaggio sperduto in quest'immensità, vi è giunto con Terry, la piccola "mexican girl", madre maltrattata, che ha conosciuto in una stazione dei bus a Los Angeles. Qui vivrà una fuga d'amore che gli insegnerà un altro ritmo dell'esistere, a contatto con i languidi ispanici che rimandano sempre tutto a "mañana", al punto che il "college boy" dell'East Coast penserà che quel termine significhi il cielo, un paradiso in cui saremo affrancati dalla desolazione insensata così simile alle sabbie infinite della Great Central Valley, in Texas. Dormirà sotto una tenda, proverà la fatica delle piantagioni, apprezzerà il sapore semplice delle cose sotto le stelle tremule del Sud e dirà addio a questa pace d'acquario canticchiando "Lover Man", la triste canzone di Billie Holiday. Decenni dopo quel caldo 1947 un ricercatore dell'Università dell'Arizona ha ritrovato, a Sabinal, la minuta contadina che fu forse tra i pochi a rendere felice il tormentato eroe della Beat Generation. Il suo nome era Bea Franco, e lo liberò dall'affanno dell'oggi. Perché "mañana means Heaven".
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